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letzte Änderung 20.04.2008
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Teil 3 (parte terza)

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Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il Paese dei Balocchi.

Com'è naturale, Pinocchio chiese subito alla Fata il permesso di andare in giro per la città a fare gli inviti: e la Fata gli disse:

- Vai pure a invitare i tuoi compagni per la colazione di domani: ma ricordati di tornare a casa prima che faccia notte. Hai capito?

- Fra un'ora prometto di essere bell'e ritornato, - replicò il burattino.

- Bada, Pinocchio! I ragazzi fanno presto a promettere: ma il più delle volte, fanno tardi a mantenere.

- Ma io non sono come gli altri: io, quando dico una cosa, la mantengo.

- Vedremo. Caso poi tu disubbidissi, tanto peggio per te.

- Perché?

- Perché i ragazzi che non danno retta ai consigli di chi ne sa più di loro, vanno sempre incontro a qualche disgrazia.

- E io l'ho provato! - disse Pinocchio. - Ma ora non ci ricasco più!

- Vedremo se dici il vero.

Senza aggiungere altre parole, il burattino salutò la sua buona Fata, che era per lui una specie di mamma, e cantando e ballando uscì fuori della porta di casa.

In poco più d'un'ora, tutti i suoi amici furono invitati. Alcuni accettarono subito e di gran cuore: altri da principio si fecero un po' pregare; ma quando seppero che i panini da inzuppare nel caffè-e-latte sarebbero stati imburrati anche dalla parte di fuori, finirono tutti col dire: "Verremo anche noi, per farti piacere".

Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo: ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo, per via del suo personalino asciutto, secco e allampanato, tale e quale come il lucignolo nuovo di un lumino da notte.

Lucignolo era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva un gran bene. Difatti andò subito a cercarlo a casa, per invitarlo alla colazione, e non lo trovò: tornò una seconda volta, e Lucignolo non c'era: tornò una terza volta, e fece la strada invano.

Dove poterlo ripescare? Cerca di qua, cerca di là, finalmente lo vide nascosto sotto il portico di una casa di contadini.

- Che cosa fai costì? - gli domandò Pinocchio, avvicinandosi.

- Aspetto la mezzanotte, per partire...

- Dove vai?

- Lontano, lontano, lontano!

- E io che son venuto a cercarti a casa tre volte!...

- Che cosa volevi da me?

- Non sai il grande avvenimento? Non sai la fortuna che mi è toccata?

- Quale?

- Domani finisco di essere un burattino e divento un ragazzo come te, e come tutti gli altri.

- Buon pro ti faccia.

- Domani, dunque, ti aspetto a colazione a casa mia.

- Ma se ti dico che parto questa sera.

- A che ora?

- Fra poco.

- E dove vai?

- Vado ad abitare in un paese... che è il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!...

- E come si chiama?

- Si chiama il Paese dei Balocchi. Perché non vieni anche tu?

- Io? no davvero!

- Hai torto, Pinocchio! Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più salubre per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell'autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll'ultimo di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!...

- Ma come si passano le giornate nel Paese dei Balocchi?

- Si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo. Che te ne pare?

- Uhm!... - fece Pinocchio: e tentennò leggermente il capo, come dire: "è una vita che farei volentieri anch'io!".

- Dunque, vuoi partire con me? Sì o no? Risolviti.

- No, no, no e poi no. Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo perbene, e voglio mantenere la promessa. Anzi, siccome vedo che il sole va sotto, così ti lascio subito e scappo via. Dunque addio e buon viaggio.

- Dove corri con tanta furia?

- A casa. La mia buona Fata vuole che ritorni prima di notte.

- Aspetta altri due minuti.

- Faccio troppo tardi.

- Due minuti soli.

- E se poi la Fata mi grida?

- Lasciala gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà, - disse quella birba di Lucignolo.

- E come fai? Parti solo o in compagnia?

- Solo? Saremo più di cento ragazzi.

- E il viaggio lo fate a piedi?

- A mezzanotte passerà di qui il carro che ci deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel fortunatissimo paese.

- Che cosa pagherei che ora fosse mezzanotte!...

- Perché?

- Per vedervi partire tutti insieme.

- Rimani qui un altro poco e ci vedrai.

- No, no: voglio ritornare a casa.

- Aspetta altri due minuti.

- Ho indugiato anche troppo. La Fata starà in pensiero per me.

- Povera Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli?

- Ma dunque, - soggiunse Pinocchio, - tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci sono punte scuole?...

- Neanche l'ombra.

- E nemmeno maestri?...

- Nemmen'uno.

- E non c'è mai l'obbligo di studiare?

- Mai, mai, mai!

- Che bel paese! - disse Pinocchio, sentendo venirsi l'acquolina in bocca. - Che bel paese! Io non ci sono stato mai, ma me lo figuro!...

- Perché non vieni anche tu?

- E inutile che tu mi tenti! Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non voglio mancare alla parola.

- Dunque addio, e salutami tanto le scuole ginnasiali!... E anche quelle liceali, se le incontri per la strada.

- Addio, Lucignolo: fai buon viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici.

Ciò detto, il burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e voltandosi all'amico, gli domandò:

- Ma sei proprio sicuro che in quel paese tutte le settimane sieno composte di sei giovedì e di una domenica?

- Sicurissimo.

- Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col primo di gennaio e finiscano coll'ultimo di dicembre?

- Di certissimo!

- Che bel paese! - ripetè Pinocchio, sputando dalla soverchia consolazione.

Poi, fatto un animo risoluto, soggiunse in fretta e furia:

- Dunque, addio davvero: e buon viaggio.

- Addio.

- Fra quanto partirete?

- Fra due ore!

- Peccato! Se alla partenza mancasse un'ora sola, sarei quasi quasi capace di aspettare.

- E la Fata?...

- Oramai ho fatto tardi!... E tornare a casa un'ora prima o un'ora dopo, è lo stesso.

- Povero Pinocchio! E se la Fata ti grida?

- Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà.

Intanto si era già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino... e sentirono un suono di bubboli e uno squillo di trombetta, così piccolino e soffocato, che pareva il sibilo di una zanzara!

- Eccolo! - gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi.

- Chi è? - domandò sottovoce Pinocchio.

- E' il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no?

- Ma è proprio vero, - domandò il burattino, - che in quel paese i ragazzi non hanno mai l'obbligo di studiare?

- Mai, mai, mai!

- Che bel paese!... che bel paese!... che bel paese!...

Dopo cinque mesi di cuccagna, Pinocchio, con sua grande maraviglia, sente spuntarsi un bel paio d'orecchie asinine e diventa un ciuchino, con la coda e tutto.

Finalmente il carro arrivò: e arrivò senza fare il più piccolo rumore, perché le sue ruote erano fasciate di stoppa e di cenci.

Lo tiravano dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame.

Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati a uso pepe e sale, e altri rigati a grandi strisce gialle e turchine. Ma la cosa più singolare era questa: che quelle dodici pariglie, ossia quei ventiquattro ciuchini, invece di essere ferrati come tutti le altre bestie da tiro o da soma, avevano ai piedi degli stivali da uomo di vacchetta bianca.

E il conduttore del carro?...

Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d'un gatto che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.

Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano innamorati e facevano a gara nel montare sul suo carro, per essere condotti da lui in quella vera cuccagna conosciuta nella carta geografica col seducente nome di Paese dei Balocchi.

Difatti il carro era già tutto pieno di ragazzetti fra gli otto e i dodici anni, ammonticchiati gli uni sugli altri, come tante acciughe nella salamoia. Stavano male, stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi!, nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c'erano né libri, né scuole, né maestri, li rendeva così contenti e rassegnati, che non sentivano né i disagi, né gli strapazzi, né la fame, né la sete, né il sonno.

Appena che il carro si fu fermato, l'omino si volse a Lucignolo e con mille smorfie e mille manierine, gli domandò sorridendo:

- Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?

- Sicuro che ci voglio venire.

- Ma ti avverto, carino mio, che nel carro non c'è più posto. Come vedi, è tutto pieno!...

- Pazienza! - replicò Lucignolo, - se non c'è posto dentro, io mi adatterò a star seduto sulle stanghe del carro.

E spiccato un salto, montò a cavalcioni sulle stanghe.

- E tu, amor mio?... - disse l'omino volgendosi tutto complimentoso a Pinocchio. - Che intendi fare? Vieni con noi, o rimani?...

- Io rimango, - rispose Pinocchio. - Io voglio tornarmene a casa mia: voglio studiare e voglio farmi onore alla scuola, come fanno tutti i ragazzi perbene.

- Buon pro ti faccia!

- Pinocchio! - disse allora Lucignolo. - Dai retta a me: vieni via con noi e staremo allegri.

- No, no, no!

- Vieni via con noi e staremo allegri, - gridarono altre quattro voci di dentro al carro.

- Vieni via con noi e staremo allegri, - urlarono tutte insieme un centinaio di voci di dentro al carro.

- E se vengo con voi, che cosa dirà la mia buona Fata? - disse il burattino che cominciava a intenerirsi e a ciurlar nel manico.

- Non ti fasciare il capo con tante melanconie. Pensa che andiamo in un paese dove saremo padroni di fare il chiasso dalla mattina alla sera!

Pinocchio non rispose: ma fece un sospiro: poi fece un altro sospiro: poi un terzo sospiro; finalmente disse:

- Fatemi un po' di posto: voglio venire anch'io !...

- I posti son tutti pieni, - replicò l'omino, - ma per mostrarti quanto sei gradito, posso cederti il mio posto a cassetta...

- E voi?...

- E io farò la strada a piedi.

- No, davvero, che non lo permetto. Preferisco piuttosto di salire in groppa a qualcuno di questi ciuchini! - gridò Pinocchio.

Detto fatto, si avvicinò al ciuchino manritto della prima pariglia e fece l'atto di volerlo cavalcare: ma la bestiola, voltandosi a secco, gli dette una gran musata nello stomaco e lo gettò a gambe all'aria.

Figuratevi la risatona impertinente e sgangherata di tutti quei ragazzi presenti alla scena.

Ma l'omino non rise. Si accostò pieno di amorevolezza al ciuchino ribelle, e, facendo finta di dargli un bacio, gli staccò con un morso la metà dell'orecchio destro.

Intanto Pinocchio, rizzatosi da terra tutto infuriato, schizzò con un salto sulla groppa di quel povero animale. E il salto fu così bello, che i ragazzi, smesso di ridere, cominciarono a urlare: "Viva Pinocchio!" e a fare una smanacciata di applausi, che non finivano più.

Quand'ecco che all'improvviso il ciuchino alzò tutt'e due le gambe di dietro, e dando una fortissima sgropponata, scaraventò il povero burattino in mezzo alla strada sopra un monte di ghiaia.

Allora grandi risate daccapo: ma l'omino, invece di ridere, si sentì preso da tanto amore per quell'irrequieto asinello, che, con un bacio, gli portò via di netto la metà di quell'altro orecchio. Poi disse al burattino:

- Rimonta pure a cavallo e non aver paura. Quel ciuchino aveva qualche grillo per il capo: ma io gli ho detto due paroline negli orecchi e spero di averlo reso mansueto e ragionevole.

Pinocchio montò: e il carro cominciò a muoversi: ma nel tempo che i ciuchini galoppavano e che il carro correva sui ciotoli della via maestra, gli parve al burattino di sentire una voce sommessa e appena intelligibile, che gli disse:

- Povero gonzo! Hai voluto fare a modo tuo, ma te ne pentirai!

Pinocchio, quasi impaurito, guardò di qua e di là, per conoscere da qual parte venissero queste parole; ma non vide nessuno: i ciuchini galoppavano, il carro correva, i ragazzi dentro al carro dormivano, Lucignolo russava come un ghiro e l'omino seduto a cassetta, canterellava fra i denti:

Tutti la notte dormono

E io non dormo mai...

Fatto un altro mezzo chilometro, Pinocchio sentì la solita vocina fioca che gli disse:

- Tienlo a mente, grullerello! I ragazzi che smettono di studiare e voltano le spalle ai libri, alle scuole e ai maestri, per darsi interamente ai balocchi e ai divertimenti, non possono far altro che una fine disgraziata!... Io lo so per prova!... E te lo posso dire! Verrà un giorno che piangerai anche tu, come oggi piango io... ma allora sarà tardi !...

A queste parole bisbigliate sommessamente, il burattino, spaventato più che mai, saltò giù dalla groppa della cavalcatura e andò a prendere il suo ciuchino per il muso.

E immaginatevi come restò, quando s'accorse che il suo ciuchino piangeva... e piangeva proprio come un ragazzo!

- Ehi, signor omino, - gridò allora Pinocchio al padrone del carro, - sapete che cosa c'è di nuovo? Questo ciuchino piange.

- Lascialo piangere: riderà quando sarà sposo

- Ma che forse gli avete insegnato anche a parlare ?

- No: ha imparato da sé a borbottare qualche parola, essendo stato tre anni in una compagnia di cani ammaestrati.

- Povera bestia!...

- Via, via, - disse l'omino, - non perdiamo il nostro tempo a veder piangere un ciuco. Rimonta a cavallo, e andiamo: la notte è fresca e la strada è lunga.

Pinocchio obbedì senza rifiatare. Il carro riprese la sua corsa: e la mattina, sul far dell'alba, arrivarono felicemente nel Paese dei Balocchi.

Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. La sua popolazione era tutta composta di ragazzi. I più vecchi avevano quattordici anni: i più giovani ne avevano otto appena. Nelle strade, un'allegria, un chiasso, uno strillio da levar di cervello! Branchi di monelli dappertutto. Chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra a un cavallino di legno; questi facevano a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano; altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria; chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll'elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta; chi rideva, chi urlava, chi chiamava, chi batteva le mani, chi fischiava, chi rifaceva il verso alla gallina quando ha fatto l'ovo; insomma un tal pandemonio, un tal passeraio, un tal baccano indiavolato, da doversi mettere il cotone negli orecchi per non rimanere assorditi. Su tutte le piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: Viva i balocci (invece di balocchi): non voglamo più schole (invece di non vogliamo più scuole): abbasso Larin Metica (invece di l'aritmetica) e altri fiori consimili.

Pinocchio, Lucignolo e tutti gli altri ragazzi, che avevano fatto il viaggio coll'omino, appena ebbero messo il piede dentro la città, si ficcarono subito in mezzo alla gran baraonda, e in pochi minuti, come è facile immaginarselo, diventarono gli amici di tutti. Chi più felice, chi più contento di loro?

In mezzo ai continui spassi e agli svariati divertimenti, le ore, i giorni, le settimane, passavano come tanti baleni.

- Oh! che bella vita! - diceva Pinocchio tutte le volte che per caso s'imbatteva in Lucignolo.

- Vedi, dunque, se avevo ragione?... - ripigliava quest'ultimo. - E dire che tu non volevi partire! E pensare che t'eri messo in capo di tornartene a casa dalla tua Fata, per perdere il tempo a studiare!.... Se oggi ti sei liberato dalla noia dei libri e delle scuole, lo devi a me, ai miei consigli, alle mie premure, ne convieni? Non vi sono che i veri amici che sappiano rendere di questi grandi favori.

- E' vero, Lucignolo! Se oggi io sono un ragazzo veramente contento, è tutto merito tuo. E il maestro, invece, sai che cosa mi diceva, parlando di te? Mi diceva sempre: "Non praticare quella birba di Lucignolo perché Lucignolo è un cattivo compagno e non può consigliarti altro che a far del male!...".

- Povero maestro! - replicò l'altro tentennando il capo. - Lo so purtroppo che mi aveva a noia e che si divertiva sempre a calunniarmi, ma io sono generoso e gli perdono!

- Anima grande! - disse Pinocchio, abbracciando affettuosamente l'amico e dandogli un bacio in mezzo agli occhi.

Intanto era già da cinque mesi che durava questa bella cuccagna di baloccarsi e di divertirsi le giornate intere, senza mai vedere in faccia né un libro, né una scuola, quando una mattina Pinocchio, svegliandosi, ebbe, come si suol dire, una gran brutta sorpresa che lo messe proprio di malumore.

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