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Pinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe a
far da can da guardia a un pollaio.
Pinocchio, come potete figurarvelo, si dette a piangere, a
strillare, a raccomandarsi: ma erano pianti e grida inutili, perché lì
all'intorno non si vedevano case, e dalla strada non passava anima viva.
Intanto si fece notte.
Un po' per lo spasimo della tagliuola, che gli segava gli
stinchi, e un po' per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi,
il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto vedendosi passare
una Lucciola di sul capo, la chiamò e le disse:
- O Lucciolina, mi faresti la carità di liberarmi da questo
supplizio?...
- Povero figliuolo! - replicò la Lucciola, fermandosi
impietosita a guardarlo. - Come mai sei rimasto colle gambe attanagliate fra
codesti ferri arrotati?
- Sono entrato nel campo per cogliere due grappoli di quest'uva
moscadella, e...
- Ma l'uva era tua?
- No...
- E allora chi t'ha insegnato a portar via la roba degli
altri?...
- Avevo fame...
- La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per potere
appropriarsi la roba che non è nostra...
- è vero, è vero! - gridò Pinocchio piangendo, - ma un'altra
volta non lo farò più.
A questo punto il dialogo fu interrotto da un piccolissimo
rumore di passi, che si avvicinavano.
Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a
vedere se qualcuna di quelle faine, che mangiavano di nottetempo i polli, fosse
rimasta al trabocchetto della tagliuola.
E la sua maraviglia fu grandissima quando, tirata fuori la
lanterna di sotto il pastrano, s'accorse che, invece di una faina, c'era rimasto
preso un ragazzo.
- Ah, ladracchiolo! - disse il contadino incollerito, -
dunque sei tu che mi porti via le galline?
- Io no, io no! - gridò Pinocchio, singhiozzando. - Io sono
entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d'uva!...
- Chi ruba l'uva è capacissimo di rubare anche i polli.
Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricordartene per un pezzo.
E aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola
e lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino di latte.
Arrivato che fu sull'aia dinanzi alla casa, lo scaraventò in
terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:
- Oramai è tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li
aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi mi è morto il cane che mi faceva la
guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di
guardia.
Detto fatto, gl'infilò al collo un grosso collare tutto
coperto di spunzoni di ottone, e glielo strinse in modo da non poterselo levare
passandoci la testa dentro. Al collare c'era attaccata una lunga catenella di
ferro: e la catenella era fissata nel muro.
- Se questa notte, - disse il contadino, - cominciasse a
piovere, tu puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c'è sempre la
paglia che ha servito di letto per quattr'anni al mio povero cane. E se per
disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare.
Dopo quest'ultimo avvertimento, il contadino entrò in casa
chiudendo la porta con tanto di catenaccio: e il povero Pinocchio rimase
accovacciato sull'aia, più morto che vivo, a motivo del freddo, della fame e
della paura. E di tanto in tanto, cacciandosi rabbiosamente le mani dentro al
collare, che gli serrava la gola, diceva piangendo:
- Mi sta bene!... Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo
svogliato, il vagabondo... ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo
la sfortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce
n'è tanti, se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in
casa col mio povero babbo, a quest'ora non mi troverei qui, in mezzo ai campi, a
fare il cane di guardia alla casa d'un contadino. Oh, se potessi rinascere
un'altra volta!... Ma oramai è tardi, e ci vuol pazienza! Fatto questo piccolo
sfogo, che gli venne proprio dal cuore, entrò dentro il casotto e si addormentò.
Pinocchio scuopre i ladri e, in ricompensa di essere stato
fedele, vien posto in libertà.
Ed era già più di due ore che dormiva saporitamente; quando
verso la mezzanotte fu svegliato da un bisbiglio e da un pissi-pissi di vocine
strane, che gli parve di sentire nell'aia. Messa fuori la punta del naso dalla
buca del casotto, vide riunite a consiglio quattro bestiuole di pelame scuro,
che parevano gatti. Ma non erano gatti: erano faine, animaletti carnivori,
ghiottissimi specialmente di uova e di pollastrine giovani. Una di queste faine,
staccandosi dalle sue compagne, andò alla buca del casotto e disse sottovoce:
- Buona sera, Melampo.
- Io non mi chiamo Melampo, - rispose il burattino.
- O dunque chi sei?
- Io sono Pinocchio.
- E che cosa fai costì?
- Faccio il cane di guardia.
- O Melampo dov'è? dov'è il vecchio cane, che stava in questo
casotto?
- è morto questa mattina.
- Morto? Povera bestia! Era tanto buono!... Ma giudicandoti
alla fisonomia, anche te mi sembri un cane di garbo.
- Domando scusa, io non sono un cane!...
- O chi sei?
- Io sono un burattino.
- E fai da cane di guardia?
- Purtroppo: per mia punizione!...
- Ebbene, io ti propongo gli stessi patti, che avevo col
defunto Melampo: e sarai contento.
- E questi patti sarebbero?
- Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a
visitare di notte questo pollaio, e porteremo via otto galline. Di queste
galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione, s'intende
bene, che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l'estro di abbaiare e di
svegliare il contadino.
- E Melampo faceva proprio così? - domandò Pinocchio.
- Faceva così, e fra noi e lui siamo andati sempre d'accordo.
Dormi dunque tranquillamente, e stai sicuro che prima di partire di qui, ti
lasceremo sul casotto una gallina bell'e pelata, per la colazione di domani. Ci
siamo intesi bene?
- Anche troppo bene!... - rispose Pinocchio: e tentennò il
capo in un certo modo minaccioso, come se avesse voluto dire: "Fra poco ci
riparleremo!".
Quando le quattro faine si credettero sicure del fatto loro,
andarono difilato al pollaio, che rimaneva appunto vicinissimo al casotto del
cane, e aperta a furia di denti e di unghioli la porticina di legno, che ne
chiudeva l'entratina, vi sgusciarono dentro, una dopo l'altra. Ma non erano
ancora finite d'entrare, che sentirono la porticina richiudersi con grandissima
violenza.
Quello che l'aveva richiusa era Pinocchio; il quale, non
contento di averla richiusa, vi posò davanti per maggior sicurezza una grossa
pietra, a guisa di puntello.
E poi cominciò ad abbaiare: e, abbaiando proprio come se
fosse un cane di guardia, faceva colla voce bu-bu-bu-bu.
A quell'abbaiata, il contadino saltò dal letto e, preso ii
fucile e affacciatosi alla finestra, domandò:
- Che c'è di nuovo?
- Ci sono i ladri! - rispose Pinocchio.
- Dove sono?
- Nel pollaio.
- Ora scendo subito.
E infatti, in men che non si dice amen, il contadino
scese: entrò di corsa nel pollaio e, dopo avere acchiappate e rinchiuse in un
sacco le quattro faine, disse loro con accento di vera contentezza:
- Alla fine siete cascate nelle mie mani! Potrei punirvi, ma
sì vil non sono! Mi contenterò, invece, di portarvi domani all'oste del vicino
paese, il quale vi spellerà e vi cucinerà a uso lepre dolce e forte. E' un onore
che non vi meritate, ma gli uomini generosi come me non badano a queste
piccolezze!...
Quindi, avvicinatosi a Pinocchio, cominciò a fargli molte
carezze, e, fra le altre cose, gli domandò:
- Com'hai fatto a scuoprire il complotto di queste quattro
ladroncelle? E dire che Melampo, il mio fido Melampo, non s'era mai accorto di
nulla...
Il burattino, allora, avrebbe potuto raccontare quel che
sapeva: avrebbe potuto, cioè, raccontare i patti vergognosi che passavano fra il
cane e le faine: ma ricordatosi che il cane era morto, pensò subito dentro di
sé: - A che serve accusare i morti?... I morti son morti, e la miglior cosa che
si possa fare è quella di lasciarli in pace!...
- All'arrivo delle faine sull'aia, eri sveglio o dormivi? -
continuò a chiedergli il contadino.
- Dormivo, - rispose Pinocchio, - ma le faine mi hanno
svegliato coi loro chiacchiericci, e una è venuta fin qui al casotto per dirmi:
"Se prometti di non abbaiare e di non svegliare il padrone, noi ti regaleremo
una pollastra bell'e pelata!...". Capite, eh? Avere la sfacciataggine di fare a
me una simile proposta! Perché bisogna sapere che io sono un burattino, che avrò
tutti i difetti di questo mondo: ma non avrò mai quello di star di balla e di
reggere il sacco alla gente disonesta!
- Bravo ragazzo! - gridò il contadino, battendogli sur una
spalla. - Cotesti sentimenti ti fanno onore: e per provarti la mia grande
soddisfazione, ti lascio libero fin d'ora di tornare a casa.
E gli levò il collare da cane.
Pinocchio piange la morte della bella Bambina dai capelli
turchini: poi trova un Colombo che lo porta sulla riva del mare, e lì si getta
nell'acqua per andare in aiuto del suo babbo Geppetto.
Appena Pinocchio non sentì più il peso durissimo e umiliante
di quel collare intorno al collo, si pose a scappare attraverso i campi, e non
si fermò un solo minuto, finché non ebbe raggiunta la strada maestra, che doveva
ricondurlo alla Casina della Fata.
Arrivato sulla strada maestra, si voltò in giù a guardare
nella sottoposta pianura, e vide benissimo a occhio nudo il bosco, dove
disgraziatamente aveva incontrato la Volpe e il Gatto: vide, fra mezzo agli
alberi, inalzarsi la cima di quella Quercia grande, alla quale era stato appeso
ciondoloni per il collo: ma guarda di qua, guarda di là, non gli fu possibile di
vedere la piccola casa della bella Bambina dai capelli turchini.
Allora ebbe una specie di tristo presentimento e datosi a
correre con quanta forza gli rimaneva nelle gambe, si trovò in pochi minuti sul
prato, dove sorgeva una volta la Casina bianca. Ma la Casina bianca non c'era
più. C'era, invece, una piccola pietra di marmo sulla quale si leggevano in
carattere stampatello queste dolorose parole:
QUI GIACE
LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI
MORTA DI DOLORE
PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO
FRATELLINO PINOCCHIO
Come rimanesse il burattino, quand'ebbe compitate alla peggio
quelle parole, lo lascio pensare a voi. Cadde bocconi a terra e coprendo di
mille baci quel marmo mortuario, dette in un grande scoppio di pianto. Pianse
tutta la notte, e la mattina dopo, sul far del giorno, piangeva sempre, sebbene
negli occhi non avesse più lacrime: e le sue grida e i suoi lamenti erano così
strazianti e acuti, che tutte le colline all'intorno ne ripetevano l'eco.
E piangendo diceva:
- O Fatina mia, perché sei morta?... perché, invece di te,
non sono morto io, che sono tanto cattivo, mentre tu eri tanto buona?... E il
mio babbo, dove sarà? O Fatina mia, dimmi dove posso trovarlo, che voglio stare
sempre con lui, e non lasciarlo più! più! più!... O Fatina mia, dimmi che non è
vero che sei morta!... Se davvero mi vuoi bene...
se vuoi bene al tuo fratellino, rivivisci... ritorna viva
come prima!... Non ti
dispiace a vedermi solo e abbandonato da tutti? Se arrivano
gli assassini. mi attaccheranno daccapo al ramo dell'albero... e allora morirò
per sempre. Che vuoi che faccia qui, solo in questo mondo? Ora che ho perduto te
e il mio babbo, chi mi darà da mangiare? Dove anderò a dormire la notte? Chi mi
farà la giacchettina nuova? Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che morissi
anch'io! Sì, voglio morire!... ih! ih! ih!...
E mentre si disperava a questo modo, fece l'atto di volersi
strappare i capelli: ma i suoi capelli, essendo di legno, non poté nemmeno
levarsi il gusto di ficcarci dentro le dita.
Intanto passò su per aria un grosso Colombo, il quale
soffermatosi, a ali distese, gli gridò da una grande altezza:
- Dimmi, bambino, che cosa fai costaggiù?
- Non lo vedi? piango! - disse Pinocchio alzando il capo
verso quella voce e strofinandosi gli occhi colla manica della giacchetta.
- Dimmi, - soggiunse allora il Colombo - non conosci per caso
fra i tuoi compagni, un burattino, che ha nome Pinocchio?
- Pinocchio?... Hai detto Pinocchio? - ripetè il burattino
saltando subito in piedi. - Pinocchio sono io!
Il Colombo, a questa risposta, si calò velocemente e venne a
posarsi a terra. Era più grosso di un tacchino.
- Conoscerai dunque anche Geppetto? - domandò al burattino.
- Se lo conosco? E' il mio povero babbo! Ti ha forse parlato
di me? Mi conduci da lui? Ma è sempre vivo? Rispondimi per carità: è sempre
vivo?
- L'ho lasciato tre giorni fa sulla spiaggia del mare.
- Che cosa faceva?
- Si fabbricava da sé una piccola barchetta per traversare
l'Oceano. Quel pover'uomo sono più di quattro mesi che gira per il mondo in
cerca di te: e non avendoti potuto trovare, ora si è messo in capo di cercarti
nei paesi lontani del nuovo mondo.
- Quanto c'è di qui alla spiaggia? - domandò Pinocchio con
ansia affannosa.
- Più di mille chilometri.
- Mille chilometri? O Colombo mio, che bella cosa potessi
avere le tue ali!...
- Se vuoi venire, ti ci porto io.
- Come?
- A cavallo sulla mia groppa. Sei peso di molto?...
- Peso? tutt'altro! Son leggiero come una foglia.
E lì, senza stare a dir altro, Pinocchio saltò sulla groppa
al Colombo e messa una gamba di qua e l'altra di là, come fanno i cavallerizzi,
gridò tutto contento: - Galoppa, galoppa, cavallino, ché mi preme di arrivar
presto!...
Il Colombo prese l'aire e in pochi minuti arrivò col volo
tanto in alto, che toccava quasi le nuvole. Giunto a quell'altezza
straordinaria, il burattino ebbe la curiosità di voltarsi in giù a guardare: e
fu preso da tanta paura e da tali giracapi che, per evitare il pericolo di venir
disotto, si avviticchiò colle braccia, stretto stretto, al collo della sua
piumata cavalcatura.
Volarono tutto il giorno. Sul far della sera, il Colombo
disse:
- Ho una gran sete!
- E io una gran fame! - soggiunse Pinocchio.
- Fermiamoci a questa colombaia pochi minuti; e dopo ci
rimetteremo in viaggio, per essere domattina all'alba sulla spiaggia del mare.
Entrarono in una colombaia deserta, dove c'era soltanto una catinella piena
d'acqua e un cestino ricolmo di veccie.
Il burattino, in tempo di vita sua, non aveva mai potuto
patire le veccie: a sentir lui, gli facevano nausea, gli rivoltavano lo stomaco:
ma quella sera ne mangiò a strippapelle, e quando l'ebbe quasi finite, si voltò
al Colombo e gli disse:
- Non avrei mai creduto che le veccie fossero così buone!
- Bisogna persuadersi, ragazzo mio, - replicò il Colombo, -
che quando la fame dice davvero e non c'è altro da mangiare, anche le veccie
diventano squisite! La fame non ha capricci né ghiottonerie!
Fatto alla svelta un piccolo spuntino, si riposero in
viaggio, e via! La mattina dopo arrivarono sulla spiaggia del mare. Il Colombo
posò a terra Pinocchio, e non volendo nemmeno la seccatura di sentirsi
ringraziare per aver fatto una buona azione, riprese subito il volo e sparì.
La spiaggia era piena di gente che urlava e gesticolava
guardando il mare.
- Che cos'è accaduto? - domandò Pinocchio a una vecchina.
- Gli è accaduto che un povero babbo, avendo perduto il
figliolo, gli è voluto entrare in una barchetta per andare a cercarlo di là dal
mare; e il mare oggi è molto cattivo e la barchetta sta per andare sott'acqua...
- Dov'è la barchetta?
- Eccola laggiù, diritta al mio dito, - disse la vecchia,
accennando una piccola barca che, veduta in quella distanza, pareva un guscio di
noce con dentro un omino piccino piccino.
Pinocchio appuntò gli occhi da quella parte, e dopo aver
guardato attentamente, cacciò un urlo acutissimo gridando:
- Gli è il mì babbo! gli è il mì babbo!
Intanto la barchetta, sbattuta dall'infuriare dell'onde, ora
spariva fra i grossi cavalloni, ora tornava a galleggiare: e Pinocchio ritto
sulla punta di un alto scoglio non finiva più dal chiamare il suo babbo per nome
e dal fargli molti segnali colle mani e col moccichino da naso e perfino col
berretto che aveva in capo.
E parve che Geppetto, sebbene fosse molto lontano dalla
spiaggia, riconoscesse il figliuolo, perché si levò il berretto anche lui e lo
salutò e, a furia di gesti, gli fece capire che sarebbe tornato volentieri
indietro, ma il mare era tanto grosso, che gl'impediva di lavorare col remo e di
potersi avvicinare alla terra.
Tutt'a un tratto, venne una terribile ondata, e la barca
sparì.
Aspettarono che la barca tornasse a galla: ma la barca non si
vide più tornare.
- Pover'omo! - dissero allora i pescatori, che erano raccolti
sulla spiaggia: e brontolando sottovoce una preghiera si mossero per tornarsene
alle loro case.
Quand'ecco che udirono un urlo disperato, e, voltandosi
indietro, videro un ragazzetto che, di vetta a uno scoglio, si gettava in mare
gridando:
- Voglio salvare il mio babbo!
Pinocchio, essendo tutto di legno, galleggiava facilmente e
nuotava come un pesce. Ora si vedeva sparire sott'acqua, portato dall'impeto dei
flutti, ora riappariva fuori con una gamba o con un braccio, a grandissima
distanza dalla terra. Alla fine lo persero d'occhio e non lo videro più.
- Povero ragazzo! - dissero alIora i pescatori, che erano
raccolti sulla spiaggia: e brontolando sottovoce una preghiera tornarono alle
loro case.
Pinocchio arriva all'isola delle Api industriose e ritrova
la Fata.
Pinocchio, animato dalla speranza di arrivare in tempo a dare
aiuto al suo povero babbo, nuotò tutta quanta la notte.
E che orribile nottata fu quella! Diluviò, grandinò, tuonò
spaventosamente, e con certi lampi che pareva di giorno.
Sul far del mattino, gli riuscì di vedere poco distante una
lunga striscia di terra. Era un'isola in mezzo al mare.
Allora fece di tutto per arrivare a quella spiaggia: ma
inutilmente. Le onde, rincorrendosi e accavallandosi, se lo abballottavano fra
di loro, come se fosse stato un fuscello o un filo di paglia. Alla fine, e per
sua buona fortuna, venne un'ondata tanto prepotente e impetuosa, che lo
scaraventò di peso sulla rena del lido.
Il colpo fu così forte che, battendo in terra, gli
crocchiarono tutte le costole e tutte le congiunture: ma si consolò subito col
dire:
- Anche per questa volta l'ho proprio scampata bella!
Intanto a poco a poco il cielo si rasserenò; il sole apparve
fuori in tutto il suo splendore e il mare diventò tranquillissimo e buono come
un olio.
Allora il burattino distese i suoi panni al sole per
rasciugarli e si pose a guardare di qua e di là se per caso avesse potuto
scorgere su quella immensa spianata d'acqua una piccola barchetta con un omino
dentro. Ma dopo aver guardato ben bene, non vide altro dinanzi a sé che cielo,
mare e qualche vela di bastimento, ma cosi lontana, che pareva una mosca.
- Sapessi almeno come si chiama quest'isola! - andava
dicendo. - Sapessi almeno se quest'isola è abitata da gente di garbo, voglio
dire da gente che non abbia il vizio di attaccare i ragazzi ai rami degli
alberi; ma a chi mai posso domandarlo? A chi, se non c'è nessuno?...
Quest'idea di trovarsi solo, solo, solo in mezzo a quel gran
paese disabitato, gli messe addosso tanta malinconia, che stava lì lì per
piangere; quando tutt'a un tratto vide passare, a poca distanza dalla riva, un
grosso pesce, che se ne andava tranquillamente per i fatti suoi, con tutta la
testa fuori dell'acqua. Non sapendo come chiamarlo per nome, il burattino gli
gridò a voce alta, per farsi sentire:
- Ehi, signor pesce, che mi permetterebbe una parola?
- Anche due, - rispose il pesce, il quale era un Delfino così
garbato, come se ne trovano pochi in tutti i mari del mondo.
- Mi farebbe il piacere di dirmi se in quest'isola vi sono
dei paesi dove si possa mangiare, senza pericolo d'esser mangiati?
- Ve ne sono sicuro, - rispose il Delfino. - Anzi, ne
troverai uno poco lontano di qui.
- E che strada si fa per andarvi?
- Devi prendere quella viottola là, a mancina, e camminare
sempre diritto al naso. Non puoi sbagliare.
- Mi dica un'altra cosa. Lei che passeggia tutto il giorno e
tutta la notte per il mare, non avrebbe incontrato per caso una piccola
barchettina con dentro il mì babbo?
- E chi è il tuo babbo?
- Gli è il babbo più buono del mondo, come io sono il
figliuolo più cattivo che si possa dare.
- Colla burrasca che ha fatto questa notte, - rispose il
delfino, - la barchettina sarà andata sott'acqua.
- E il mio babbo?
- A quest'ora l'avrà inghiottito il terribile Pesce-cane, che
da qualche giorno è venuto a spargere lo sterminio e la desolazione nelle nostre
acque.
- Che è grosso di molto questo Pesce-cane? - domandò
Pinocchio, che digià cominciava a tremare dalla paura.
- Se gli è grosso!... - replicò il Delfino. - Perché tu possa
fartene un'idea, ti dirò che è più grosso di un casamento di cinque piani, ed ha
una boccaccia così larga e profonda, che ci passerebbe comodamente tutto il
treno della strada ferrata colla macchina accesa.
- Mamma mia! - gridò spaventato il burattino: e rivestitosi
in fretta e furia, si voltò al delfino e gli disse: - Arrivedella, signor pesce:
scusi tanto l'incomodo e mille grazie della sua garbatezza.
Detto ciò, prese subito la viottola e cominciò a camminare di
un passo svelto; tanto svelto, che pareva quasi che corresse. E a ogni più
piccolo rumore che sentiva, si voltava subito a guardare indietro, per la paura
di vedersi inseguire da quel terribile pesce-cane grosso come una casa di cinque
piani e con un treno della strada ferrata in bocca.
Dopo mezz'ora di strada, arrivò a un piccolo paese detto "Il
paese delle Api industriose". Le strade formicolavano di persone che correvano
di qua e di là per le loro faccende: tutti lavoravano, tutti avevano qualche
cosa da fare. Non si trovava un ozioso o un vagabondo nemmeno a cercarlo col
lumicino.
- Ho capito, - disse subito quello svogliato di Pinocchio, -
questo paese non è fatto per me! Io non son nato per lavorare! Intanto la fame
lo tormentava, perché erano oramai passate ventiquattr'ore che non aveva
mangiato più nulla; nemmeno una pietanza di veccie.
Che fare?
Non gli restavano che due modi per potersi sdigiunare: o
chiedere un po' di lavoro, o chiedere in elemosina un soldo o un boccone di
pane.
A chiedere l'elemosina si vergognava: perché il suo babbo gli
aveva predicato sempre che l'elemosina hanno il diritto di chiederla solamente i
vecchi e gl'infermi. I veri poveri, in questo mondo, meritevoli di assistenza e
di compassione, non sono altro che quelli che, per ragione d'età o di malattia,
si trovano condannati a non potersi più guadagnare il pane col lavoro delle
proprie mani. Tutti gli altri hanno l'obbligo di lavorare: e se non lavorano e
patiscono la fame, tanto peggio per loro.
In quel frattempo, passò per la strada un uomo tutto sudato e
trafelato, il quale da sé tirava con gran fatica due carretti carichi di
carbone.
Pinocchio, giudicandolo dalla fisonomia per un buon uomo, gli
si accostò e, abbassando gli occhi dalla vergogna, gli disse sottovoce:
- Mi fareste la carità di darmi un soldo, perché mi sento
morir dalla fame?
- Non un soldo solo, - rispose il carbonaio, - ma te ne do
quattro, a patto che tu m'aiuti a tirare fino a casa questi due carretti di
carbone.
- Mi meraviglio! - rispose il burattino quasi offeso, - per
vostra regola io non ho fatto mai il somaro: io non ho mai tirato il
carretto!...
- Meglio per te! - rispose il carbonaio. - Allora, ragazzo
mio, se ti senti davvero morir dalla fame, mangia due belle fette della tua
superbia e bada di non prendere un'indigestione.
Dopo pochi minuti passò per la via un muratore, che portava
sulle spalle un corbello di calcina.
- Fareste, galantuomo, la carità d'un soldo a un povero
ragazzo, che sbadiglia dall'appetito?
- Volentieri; vieni con me a portar calcina, - rispose il
muratore, - e invece d'un soldo, te ne darò cinque.
- Ma la calcina è pesa, - replicò Pinocchio, - e io non
voglio durar fatica.
- Se non vuoi durar fatica, allora, ragazzo mio, - divertiti
a sbadigliare, e buon pro ti faccia.
In men di mezz'ora passarono altre venti persone, e a tutte
Pinocchio chiese un po' d'elemosina, ma tutte gli risposero:
- Non ti vergogni? Invece di fare il bighellone per la
strada, và piuttosto a cercarti un po' di lavoro, e impara a guadagnarti il
pane! Finalmente passò una buona donnina che portava due brocche d'acqua.
- Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d'acqua
alla vostra brocca? - disse Pinocchio, che bruciava dall'arsione della sete.
- Bevi pure, ragazzo mio! - disse la donnina, posando le due
brocche in terra.
Quando Pinocchio ebbe bevuto come una spugna, borbottò a
mezza voce, asciugandosi la bocca:
- La sete me la sono levata! Così mi potessi levar la
fame!... La buona donnina, sentendo queste parole, soggiunse subito:
- Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d'acqua,
ti darò un bel pezzo di pane.
Pinocchio guardò la brocca, e non rispose né sì né no.
- E insieme col pane ti darò un bel piatto di cavolfiore
condito coll'olio e coll'aceto, - soggiunse la buona donna.
Pinocchio dette un'altra occhiata alla brocca, e non rispose
né sì né no.
- E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di
rosolio. - Alle seduzioni di quest'ultima ghiottoneria, Pinocchio non seppe più
resistere e, fatto un animo risoluto, disse:
- Pazienza! Vi porterò la brocca fino a casa!
La brocca era molto pesa, e il burattino, non avendo forza da
portarla colle mani, si rassegnò a portarla in capo.
Arrivati a casa, la buona donnina fece sedere Pinocchio a una
piccola tavola apparecchiata e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e
il confetto.
Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un
quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi.
Calmati a poco a poco i morsi rabbiosi della fame, allora
alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice; ma non aveva ancora finito di
fissarla in volto, che cacciò un lunghissimo ohhh!... di maraviglia e
rimase là incantato, cogli occhi spalancati, colla forchetta per aria e colla
bocca piena di pane e di cavolfiore.
- Che cos'è mai tutta questa maraviglia? - disse ridendo la
buona donna.
- Egli è... - rispose balbettando Pinocchio, - egli è... egli
è... che voi somigliate... voi mi rammentate... sì, sì, sì, la stessa voce...
gli stessi occhi.. gli stessi capelli... sì, sì, sì... anche voi avete i capelli
turchini... come lei!... O Fatina mia!... O Fatina mia!... ditemi che siete voi,
proprio voi!... Non mi fate più piangere! Se sapeste!... Ho pianto tanto, ho
patito tanto..
E nel dir così, Pinocchio piangeva dirottamente, e gettandosi
ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donnina misteriosa.
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