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letzte Änderung 21.09.2008
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IL CANE CHE NON SAPEVA ABBAIARE

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IL CANE CHE NON SAPEVA ABBAIARE

DER HUND, DER NICHT BELLEN KONNTE

 

C'era una volta un cane che non sapeva abbaiare. Non abbaiava, non miagolava, non muggiva, non nitriva, non sapeva fare nessun verso. Era un cagnetto solitario, chissà come era capitato in un paese senza cani. Per conto suo non si sarebbe nemmeno accorto che gli mancava qualcosa. Erano gli altri a farglielo capire. Gli dicevano: - Ma tu non abbai? - Non saprei... io sono forestiero... - Senti che risposta. Non lo sai che i cani abbaiano? - A che scopo? - Abbaiano perché sono cani. Abbaiano ai vagabondi di passaggio, ai gatti dispettosi, alla luna piena. Abbaiano quando sono contenti, quando sono nervosi, quando sono arrabbiati. Di giorno, per lo più, ma anche di notte. - Sarà, ma io... - Ma tu, cosa? Tu sei un fenomeno, va Ià: un giorno o l'altro ti metteranno sul giornale. Il cane non sapeva che cosa rispondere a queste critiche. Non sapeva abbaiare e non sapeva come fare per imparare. - Fa' come me, - gli disse una volta un galletto, che aveva compassione di lui. E lanciò due o tre sonori chicchirichi. - Mi sembra difficile, - disse il cagnetto. - Macché, è semplicissimo. Ascolta bene, fa attenzione al mio becco. - lnsomma, osservami e cerca di imitarmi. II galletto fece un altro chicchirichi. Il cane si provò a fare lo stesso, ma gli uscì di bocca solo un «goggo checchè», che mise in fuga le galline spaventate. - Fa niente, - disse il galletto, - per la prima volta è anche troppo. Riprova, dai. Il cagnetto riprovò una volta, due, tre. Riprovò tutti i giorni. Si esercitava di nascosto, dalla mattina alla sera. Qualche volta, per esercitarsi con più libertà, andava nel bosco. Una mattina, mentre stava per l'appunto nel bosco, gli riuscì di fare un chicchirichi così vero, così bello e forte che la volpe lo sentì e pensò tra sé: «Finalmente il gallo è venuto a trovarmi. Correrò a ringraziarlo per la visita...». E difatti si mise a correre, ma non dimenticò di portarsi forchetta, coltello e tovagliolo perché per una volpe non c'è colazione più appetitosa di un bel galletto. Si può capire come rimase male quando, al posto del gallo, vide il cane che, accucciato sulla propria coda, lanciava uno dopo l'altro quei chicchirichi. - Ah, - disse la volpe, - così stanno le cose, mi avevi teso un tranello. - Un traneIlo? - Ma certo. Mi hai fatto credere che ci fosse un gallo sperduto neI bosco e ti sei nascosto per acchiapparmi. Meno male che ti ho visto in tempo. Questa, però, è caccia sleale. I cani, di solito, abbaiano per avvertirmi che arrivano i cacciatori. - Ti assicuro che io... Ecco, vedi, non pensavo mica alla caccia. Ero venuto qui per fare esercizi. - Esercizi? E di che genere? - Mi esercito per imparare ad abbaiare. Ho quasi imparato, senti come lo faccio bene. E giù un sonorissimo chicchirichi. La volpe voleva scoppiare dalle risate. Si rotolava per terra, si teneva la pancia, si mordeva i baffi e la coda. ll nostro cagnetto ne fu tanto mortificato che se ne andò via in silenzio, a muso basso, con le lacrime agli occhi. C'era, lì vicino, un cúculo. Vede passare il cane, si impietosisce. - Che cosa ti hanno fatto? - Niente. - E allora perché sei tanto triste? - Eh... così e così... è perché non riesco ad abbaiare.  essuno mi insegna. - Se è solo per questo, ti insegno io. Ascolta bene come faccio e cerca di fare come me: cucù... cucù... cucù... Hai capito? - Mi sembra facile. - Facilissimo. Io Io sapevo fare anche da piccolo. Prova: cucù... cucù... - Cu... - fece il cane. - Cu... Provò quel giorno, provò il giorno dopo. In capo a una settimana ci riusciva già abbastanza bene. Era proprio contento e pensava: «Finalmente, finalmente comincio ad abbaiare sul serio. Adesso non potranno più prendermi in giro». Proprio in quei giorni si aprì la caccia. Vennero nei boschi molti cacciatori, anche di quelli che sparano a tutto quello che sentono e vedono. Sparerebbero a un usignolo, sparerebbero. Passa un cacciatore di quel tipo lì, sente uscire da un cespuglio cucù... cucù..., punta il fucile e - pam! bang! - lascia partire due colpi. I pallini, per fortuna, non colpirono il cane. Gli sfiorarono soltanto le orecchie, facendo ziip ziip, come nei fumetti. II cane, via a gambe. Ma era molto meravigliato: «Quel cacciatore dev'essere impazzito, se spara anche ai cani che abbaiano...». Il cacciatore, intanto, cercava l'uccello. Era sicuro di averlo ammazzato. - Deve averlo portato via quel cagnaccio, chissà da dove è saltato fuori - brontolava. E per sfogare la sua rabbia sparò a un topolino che aveva messo la testa fuori della sua tana, ma non Io prese. Il cane correva, correva...

Primo finale

Il cane correva. Capitò in un prato nel quale pascolava tranquillamente una vaccherella. - Dove corri? - Non so. - Allora fermati. Qui c'è dell’ottima erba. - Eh, non è l'erba che mi può guarire... - Sei malato? - Altroché. Non so abbaiare. - Ma se è la cosa più semplice del mondo! Ascolta me: muuh... muuh... muuh... Non è un bel verso? - Non c'è male. Però non sono sicuro che sia il verso giusto. Tu sei una mucca... - Naturale che sono una mucca. - Io no, io sono un cane. - Naturale, che sei un cane. E con ciò? Niente ti impedisce di imparare il mio linguaggio. - Che idea! Che idea! - esclamò il cane. - Quale? - Quella che mi sta venendo in questo momento. Imparerò i versi di tutti gli animali e mi farò scritturare da un circo equestre. Avrò un successone, diventerò ricco e sposerò la figlia del re. Del re dei cani, s’intende. - Bravo, l'hai pensata bella. E allora, al lavoro. Ascolta bene: muuh... muuh... muuh... - Muuh... - fece il cane. Era un cane che non sapeva abbaiare, però aveva molta disposizione per le lingue. 

Secondo finale

Il cane correva, correva. Incontrò un contadino. - Dove scappi? - Non lo so nemmeno io. - Allora vieni a casa mia. Ho giusto bisogno di un cane che mi faccia la guardia al pollaio. - Io ci verrei, ma vi avviso: non so abbaiare. - Meglio. l cani che abbaiano fanno scappare i ladri. Te, invece, non ti sentiranno, si faranno vicini e tu potrai azzannarli, così avranno la punizione che si meritano. - Ci sto, - disse il cane. E fu così che iI cane che non sapeva abbaiare trovò un impiego, una catena e una scodella di zuppa tutti i giorni.

Terzo finale

Il cane correva, correva. A un tratto si fermò. Che strana voce, aveva sentito. Bau, bau, faceva, bau, bau. «Questo verso mi dice qualcosa, - pensò il cane, - eppure non riesco a capire che razza di animale sia quello che lo fa». - Bau, bau. «Sarà la giraffa? No, forse il coccodrillo. È un animale feroce, il coccodrillo. Dovrò avvicinarmi con cautela». Strisciando tra i cespugli il cagnetto si avviò nella direzione da cui giungeva quel bau, bau che, chissà perché, gli faceva battere tanto forte iI cuore sotto il pelo. - Bau, bau. - Toh, un altro cane. Sapete, era proprio il cane di quel cacciatore che poco prima aveva sparato quando aveva sentito cucù. - Ciao, cane. - Ciao, cane. - Mi sai dire che verso stai facendo? - Verso? Per tua norma e regola io non faccio versi, io abbaio. - Abbai?? Tu sai abbaiare?? - Naturale. Non pretenderai che barrisca come un elefante o che ruggisca come un leone. - AIIora mi insegni? - Non sai abbaiare? - No. - Ascolta e guarda bene. Si fa così: bau, bau... - Bau, bau, - disse subito il nostro cagnetto. E tra sé pensava, commosso e felice: «Finalmente ho trovato il maestro giusto».

Gianni Rodari

 

Es war einmal ein Hund, der nicht bellen konnte. Er konnte nicht bellen, er konnte nicht miauen, er konnte nicht muhen, er konnte nicht wiehern, er konnte überhaupt nichts. Es war ein einsames Hündchen, wer weiss, wie es in das Dorf ohne Hunde geraten war. Eigentlich hätte er nicht einmal gemerkt, dass ihm etwas fehlte. Es waren die anderen, die es ihn merken liessen. Sie sagten zu ihm: "Was, du kannst nicht belIen?" "Ich weiss nicht… Ich bin ein Fremder…" "Hör mal an… Was für eine Antwort. Weisst du nicht, dass Hunde bellen?" "Wozu denn?" "Sie bellen eben, weil sie Hunde sind. Sie bellen alles an: vorbeiziehende Landstreicher, boshafte Katzen, den Vollmond. Sie bellen, wenn sie glücklich sind, wenn sie aufgeregt sind, wenn sie wütend sind. Vor allem bei Tag, aber auch in der Nacht." "Mag sein, aber ich..." "Aber du, was? Du bist ein Wunderding, nicht wahr: Eines Tages wird dein Name in der Zeitung stehen." Der Hund wusste nicht, was er auf all dies antworten sollte. Er konnte nicht bellen, und er wusste nicht, wie er es lernen sollte. "Mach es wie ich", sagte ihm einmal ein junger Hahn, der Mitleid mit ihm hatte. Er stiess zwei, drei laute Kikerikis aus. "Das scheint mir schwierig zu sein", sagte das Hündchen. "Ach was, es ist ganz einfach. Hör gut zu und pass auf meinen Schnabel auf. Also, schau mich an und versuch es mir nachzumachen!" Der junge Hahn stiess ein zweites Kikeriki aus. Der Hund versuchte ihn nachzuahmen, brachte aber nur ein plumpes "Keke" heraus, sodass alle Hennen vor Schreck davonflatterten. "Das macht nichts", sagte der junge Hahn, "fürs erste Mal war's gar nicht schlecht. Los, versuch's noch mal." Das Hündchen probierte noch ein-, zwei-, dreimal. Es übte jeden Tag, von morgens bis abends. Manchmal ging es in den Wald, um ungehindert üben zu können. Eines Morgens, während es eben im Wald war, gelang ihm ein so echtes, so schönes und so lautes Kikeriki, dass der Fuchs es hörte und bei sich dachte: "Endlich einmal kommt der Hahn mich besuchen. Ich werde mich bei ihm dafür bedanken..." Und schon fing er an zu rennen, vergass aber nicht, Gabel, Messer und Serviette mitzunehmen, weil es für einen Fuchs keine bessere Mahlzeit gibt als ein schönes, junges Hähnchen. Man kann verstehen, wie enttäuscht er war, als er statt des Hähnchens einen Hund sah, der, behaglich auf seinen Schwanz gekuschelt, ein Kikeriki nach dem andern ausstiess. "Ah", sagte der Fuchs, "so ist das: Du hast mich reinlegen wollen." "ReinIegen wollen?" "Aber gewiss. Du hast mich glauben lassen, dass ein Hähnchen sich im Wald verirrt hat, und dich versteckt, um mich zu fangen. Ein Glück, dass ich dich früh genug erkannt habe. Das ist aber keine faire Jagd. Normalerweise bellen die Hunde, um mich zu warnen, wenn die Jäger kommen." "Ich versichere dir, dass ich... Also wirklich, ich dachte gar nicht an die Jagd. Ich war eigentlich hier, um zu üben." "Üben? Und was denn bitte?" "Ich versuche bellen zu lernen. Ich habe es auch schon fast gelernt. Hör mal zu, wie gut ich es kann." Und er schrie ein lautes Kikeriki heraus. Der Fuchs platzte beinahe vor Lachen. Er wälzte sich am Boden, hielt sich den Bauch, biss sich in den Schnurrbart und in den Schwanz. Unser Hündchen fühlte sich so gedemütigt, dass es schweigend verschwand, mit gesenkter Schnauze und Tränen in den Augen. Etwas weiter war ein Kuckuck. Der sah den Hund vorbeiziehen und hatte Mitleid mit ihm. "Was haben sie mit dir gemacht?" "Nichts." "Warum bist du denn so traurig?" "Äh... nun eben… es ist, weil ich nicht bellen kann. Niemand bringt es mir bei." "Wenn es nur das ist, ich will es dir gern zeigen. Hör gut zu, wie ich es mache, und versuch, es mir gleichzutun: Kuckuck... Kuckuck... Kuckuck... Hast du verstanden?" "Das scheint einfach zu sein." "Sehr einfach. Ich konnte es schon, als ich noch klein war. Versuch es: Kuckuck... Kuckuck…" "Ku...", sagte der Hund. "Ku ..." Er versuchte es an diesem Tag, er versuchte es am nächsten. Innerhalb einer Woche gelang es ihm schon recht gut. Er war wirklich zufrieden mit sich und dachte: "Endlich, endlich kann ich auch richtig bellen. Jetzt kann sich niemand mehr über mich lustig machen." Gerade in diesen Tagen war Jagdbeginn. Es kamen viele Jäger in die Wälder, auch viele von denen, die auf alles schiessen, was sie hören oder sehen. Die würden sogar eine Nachtigall abschiessen. Da ging ein Jäger dieser Sorte vorüber, hörte aus einem Gebüsch "Kuckuck ... Kuckuck…", richtete sein Gewehr darauf und – päng, päng! – gab zwei Schüsse ab. Die Kugeln trafen den Hund zum Glück nicht. Sie streiften nur seine Ohren und machten ziip ziip wie in den Comics. Der Hund rannte weg, so schnell er konnte. Er war sehr erstaunt: "Dieser Jäger muss verrückt sein, wenn er sogar auf Hunde schiesst, die bellen..." Der Jäger hatte inzwischen den Vogel gesucht. Er war sicher, ihn getroffen zu haben. "Wahrscheinlich hat der blöde Hund ihn mitgenommen. Wer weiss, wo der hergekommen ist", brummte er. Und um seinem Zorn Luft zu machen, schoss er auf eine kleine Maus, die ihren Kopf aus dem Mauseloch gestreckt hatte, ohne sie aber zu treffen. Der Hund rannte, rannte und rannte... 

Erster Schluss

Der Hund rannte. Er geriet auf ein Feld, auf dem eine Kuh friedlich weidete. "Wo rennst du hin?" "Ich weiss nicht." "Dann bleib mal stehen. Hier gibt es sehr gutes Gras." "Ach, es ist nicht das Gras, das mich heilen kann..." "Bist du krank?" "Ganz gewiss. Ich kann nicht bellen." "Aber das ist doch das Einfachste auf der Welt! Hör mal zu: Muh… muh… muh… Ist das nicht ein schöner Laut?" "Nicht schlecht. Aber ich bin nicht sicher, ob es für mich das Richtige ist. Du bist ja eine Kuh." "Klar bin ich eine Kuh." "Ich nicht, ich bin ein Hund." "Klar bist du ein Hund. Na und? Nichts hindert dich daran, meine Sprache zu lernen." "Das ist eine Superidee!", rief der Hund. "Was?" "…die mir in diesem Moment gekommen. Ich werde die Laute aller Tiere lernen und mich von einem Tierzirkus engagieren lassen. Ich werde Erfolg haben und reich sein und die Tochter des Königs heiraten. Des Hundekönigs natürlich." "Bravo, da hast du dir was Gutes ausgedacht. Na los dann, an die Arbeit. Hör mal zu: Muh… muh… muh..." "Muh…", sagte der Hund. Er war ein Hund, der zwar nicht bellen konnte, aber für Fremdsprachen sehr begabt war.  

Zweiter Schluss

Der Hund rannte und rannte. Da begegnete er einem Bauern. "Wo rennst du hin?" "Das weiss ich selber nicht." "Dann komm zu mir nach Hause. Ich brauche einen Hund, der meinen Hühnerstall bewacht." "Ich würde schon kommen, aber ich warne Sie! Ich kann nicht bellen." "Um so besser. Hunde, die bellen, verjagen die Diebe. Dich hingegen werden sie nicht hören. Sie werden sich nähern, und du wirst sie beissen können. So erhalten sie die Strafe, die sie verdienen." "Da mache ich mit", sagte der Hund. Und so kam es, dass der Hund, der nicht bellen konnte, eine Anstellung, eine Kette und jeden Tag eine Schüssel Suppe erhielt.

Dritter Schluss

Der Hund rannte und rannte. Plötzlich hielt er inne. Welch merkwürdige Stimme hatte er da gehört. "Wau, wau", machte sie. "Wau, wau." "Diese Stimme kenne ich doch", dachte der Hund, "aber ich weiss nicht, von welchem Tier sie kommt." "Wau, wau." "Ist es vielleicht eine Giraffe? Nein, vielleicht ein Krokodil. Das ist ein fürchterliches Tier, das Krokodil. Ich werde mich behutsam nähern müssen." Zwischen den Gebüschen schleichend, bewegte sich das Hündchen in die Richtung, aus der dieses "Wau, wau" kam, das sein Herz unter dem Fell so stark schlagen liess. "Wau, wau." "Nanu, ein anderer Hund." Es war der Hund des Jägers, der geschossen hatte, als er den Kuckuckruf gehört hatte. "Ciao, Hund." "Ciao, Hund." "Kannst du mir sagen, was dein Laut eben für einer war?" "Laut? Nur damit du's weisst! Ich mache keine Laute, ich belle." "Du bellst? Du kannst bellen?" "Natürlich. Du wirst wohl nicht verlangen, dass ich trompete wie ein Elefant oder brülle wie ein Löwe." "Kannst du's mir beibringen?" "Was, du kannst nicht bellen?" "Nein." "Hör gut zu und schau mich an. So macht man das! Wau, wau..." "Wau, wau", sagte unser Hündchen sofort. Und bei sich dachte es gerührt und glücklich: "Endlich habe ich den richtigen Lehrer gefunden." 

Gianni Rodari

 

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